LETTERA TERZA.

Vi ho comunicato, mio rispettabile collega, (nella 2 a delle lettere scrittevi
in agosto dell’anno passato) una parte solamente delle sperienze, con cui mi è
riuscito di rendere sensibile agli elettrometri anche meno delicati l’elettricità
eccitata nei metalli per virtù del semplice combaciamento, ossia mutuo con-
tatto di due di essi di differente specie, cioè quelle sperienze ch’io aveva fatte
fino allora coll’ajuto del duplicatore di NICHOLSON; e solo hovvi accennato di fuga
(§ LVII e LXX), che anche col semplice mio condensatore di elettricità avea
potuto ottenere lo stesso. Or dunque di quest’aria parte di sperienze, che ho
da quel tempo estese di molto e perfezionate, e di altre assai più semplici an-
cora, con cui son giunto ultimamente ad aver segni elettrici a dirittura da essi
metalli combaciatisi, senza neppure ricorrere al condensatore (a) , sperienze
quanto più semplici altrettanto più chiare e decisive, mi propongo di parlarvi
in oggi a compimento del soggetto che ho preso a trattare.

§ LXXXIII. Per queste ultime prove d’altro non fa bisogno, che dei
piattelli di diversi metalli già descritti nella lettera precedente (§ LXIII), e di
uno elettroscopio di BENNET, ossia a listarelle di foglia d’oro finissima (sebbene
anche un elettrometro a paglie sottili (b) possa esser atto, cioè sensibile abba-
stanza): per le altre vi vuole inoltre una boccettina di Leyden, e un piccolo
condensatore; per il qual ultimo può servire benissimo uno degli stessi piat-
telli, ed un pezzo d’incerato, cui si adatti quello a dovere.

Cominciando dunque dalle più semplici, ripetansi le sperienze del già citato
§ LXIII e segg. LXIV, LXV, LXVI, colla sola differenza, che staccati i due
piattelli dal mutuo combaciamento si porti l’uno o l’altro a toccare, non già il du-
plicatore (di cui non vogliamo ora più servirci), ma immediatamente la testa