Sull'elettrodinamica di corpi in movimento
di A. Einstein

Traduzione dal tedesco di S. Bordoni dall’originale
“Zur Elektrodynamik bewegter Körper“, Annalen der Physik 17 (1905)

E' noto che l'elettrodinamica di Maxwell - così come è oggi comunemente intesa - qualora applicata ai corpi in movimento, conduce ad asimmetrie che non sembrano conformi ai fenomeni. Si consideri, ad esempio, l'azione elettrodinamica che si esercita reciprocamente tra un magnete e un conduttore. Il fenomeno osservabile dipende, in questo caso, solo dal moto relativo di magnete e conduttore, mentre la concezione usuale contempla due casi nettamente distinti, a seconda di quale dei due corpi sia in movimento. Infatti, se si muove il magnete e rimane in quiete il conduttore, si produce, nell'intorno del magnete, un campo elettrico con una ben determinata energia, il quale genera una corrente nei luoghi ove si trovano parti del conduttore. Se, viceversa, il magnete resta in quiete e si muove il conduttore, non nasce, nell'intorno del magnete, alcun campo elettrico. Tuttavia si osserva, nel con­duttore, una forza elettromotrice, alla quale non corrisponde, di per , un'energia, ma che - supponendo che il moto relativo sia lo stesso nei due casi - genera correnti elettriche con la stessa intensità e con lo stesso percorso di quelle prodotte dalle forze elettriche nel caso precedente.

Esempi di questo tipo, insieme ai tentativi falliti di individuare un qualche movimento della terra relativamente al "mezzo luminifero", portano alla congettura che al concetto di quiete assoluta non corrisponda una proprietà dei fenomeni, in meccanica, in elettrodinamica. Piuttosto, come è già stato mostrato per quantità del primo ordine, per ogni sistema di riferimento in cui siano valide le leggi della meccanica, sono valide pure le leggi dell'elettrodinamica e dell'ottica.

Eleveremo questa congettura (alla quale d'ora in poi ci riferiremo come al "Principio di Relatività") allo status di postulato, e inoltre introdurremo un altro postulato, che è solo apparentemente inconciliabile con il precedente: la luce si propaga sempre nello spazio vuoto con una velocità definita c , indipendentemente dallo stato di moto del corpo che la emette. Questi due postulati sono sufficienti per formulare una teoria semplice e consistente dell'elettrodinamica dei corpi in moto, fondata sulla teoria di Maxwell per i corpi in quiete. L'introduzione di un "etere luminifero" si dimostrerà superflua poiché il punto di vista che qui svilupperemo non si servirà di uno "spazio in quiete assoluta", associerà un vettore velocità ad un punto dello spazio vuoto nel quale avvengano processi elettromagnetici.

La teoria che deve essere svolta è basata - come ogni altra elettrodinamica - sulla cinematica del corpo rigido, poiché le asserzioni di qualunque teoria di questo tipo riguardano le relazioni tra corpi rigidi (sistemi di coordinate), orologi e processi elettromagnetici. L'insufficiente considerazione di questa circostanza è la radice delle difficoltà nelle quali si dibatte oggi l'elettrodinamica dei corpi in moto.

I. PARTE CINEMATICA

§ 1. Definizione di simultaneità

Si consideri un sistema di coordinate nel quale valgano le equazioni della meccanica newtoniana. Per rendere precisa la dimostrazione e per distinguere linguisticamente questo sistema di coordinate da quelli che introdurremo successivamente, lo chiamiamo "sistema in quiete".

Se un punto materiale è in quiete rispetto a questo sistema di coordinate, la sua posizione relativamente ad esso può essere definita per mezzo di regoli di misura rigidi, utilizzando le regole della geometria euclidea, e può essere espressa in coordinate cartesiane.

Qualora desiderassimo descrivere il moto di un punto materiale, daremmo i valori delle sue coordinate in funzione del tempo. Ora dobbiamo tenere accuratamente a mente che una descrizione matematica di questo tipo non ha significato fisico a meno che non chiariamo che cosa intendiamo con l'espressione "tempo". Dobbiamo considerare che tutti i nostri giudizi nei quali interviene il tempo sono sempre giudizi su eventi simultanei . Se, per esempio, io dico "quel treno arriva qui alle 7", io intendo qualcosa come "la posizione della lancetta del mio orologio sulle 7 e l'arrivo del treno sono eventi simultanei." 1

Potrebbe sembrare che tutte le difficoltà che si riferiscono alla definizione di "tempo" siano superabili sostituendo a "tempo" l'espressione "la posizione della lancetta del mio orologio". In effetti, tale definizione è soddisfacente quando si tratta di definire un tempo esclusivamente per il posto nel quale è collocato l'orologio; ma non è più soddisfacente quando dobbiamo correlare nel tempo serie di eventi che accadono in differenti posizioni, o - il che è lo stesso - per valutare i tempi di eventi che accadono in luoghi lontani dall'orologio. Potremmo anche accontentarci di valori di tempo determinati utilizzando un osservatore situato all'origine del sistema di coordinate, con un orologio, e collegando le corrispondenti posizioni delle lancette del suo orologio con segnali luminosi, che pervengono all'osservatore attraverso lo spazio vuoto, originati da ogni evento che si voglia collocare nel tempo. Tuttavia, come è noto dall'esperienza, questo collegamento ha lo svantaggio di non essere indipendente dal punto di vista dell'osservatore munito di orologio. Giungiamo ad una molto più pratica sistemazione per mezzo delle seguenti considerazioni.

Se nel punto A dello spazio vi è un orologio, un osservatore in A può valutare il tempo degli eventi collocati nelle immediate vicinanze di A collegando le posizioni delle lancette che sono simultanee con questi eventi. Se c'è, nel punto B dello spazio, un altro orologio - e vorremmo aggiungere "un orologio esattamente con le stesse caratteristiche di quello in A " - allora è possibile per un osservatore in B stabilire il tempo di eventi nelle immediate vicinanze di B . Ma, senza ulteriori definizioni, non è possibile confrontare, in relazione al tempo, un evento in A con un evento in B . Fino ad ora abbiamo definito solo un "tempo A " e un "tempo B " ma non un "tempo" comune per A e B . Quest'ultimo tempo può ora essere definito imponendo, per definizione, che il "tempo" necessario alla luce per viaggiare da A a B sia identico al "tempo" necessario per viaggiare da B ad A . Un raggio di luce parta da A , al "tempo A " t A , verso B , sia riflesso, al "tempo B " t B , in B , in direzione di A , e giunga nuovamente in A al "tempo A" t' A . Per definizione, i due orologi marciano sincronizzati se
t B - t A = t' A - t B

Supponiamo che questa definizione di sincronizzazione sia libera da ogni possibile contraddizione, sia applicabile a quanti punti si voglia, e che siano universalmente valide le seguenti relazioni:
1. Se l'orologio in B è sincronizzato con l'orologio in A , l'orologio in A è sincronizzato con l'orologio in B .
2. Se l'orologio in A è sincronizzato con l'orologio in B e pure con l'orologio in C , gli orologi in B e C sono pure sincronizzati l'uno con l'altro.

Così, con l'aiuto di certi (immaginari) esperimenti fisici, abbiamo stabilito che cosa si deve intendere con orologi in quiete, sincroni, situati in luoghi differenti, ed abbiamo chiaramente ottenuto una definizione di "simultaneo", [o "sincrono"] e di "tempo". Il "tempo" di un evento è la lettura, simultanea con l'evento, di un orologio in quiete e situato nel luogo dell'evento, essendo questo orologio sincronizzato, ed effettivamente sincronizzato per ogni deter­minazione di tempo, con un ben preciso orologio in quiete.

In aggiunta, in accordo con l'esperienza, stabiliamo ulteriormente che la quantità

sia una costante universale (la velocità della luce nello spazio vuoto).

E' essenziale aver definito il tempo per mezzo di orologi in quiete in un sistema in quiete; e poiché il tempo ora definito è appropriato al sistema in quiete, lo chiamiamo "il tempo del sistema in quiete".

§ 2. Sulla relatività di lunghezze e tempi

Le seguenti considerazioni sono basate sul principio di relatività e sul principio di costanza della velocità della luce. Così definiamo questi due principi:
1. Le leggi secondo le quali variano gli stati dei sistemi fisici sono indipendenti dal fatto che queste variazioni di stato vengano riferite all'uno o all'altro di due sistemi di coordinate, in moto traslatorio uniforme l'uno rispetto l'altro.
2. Qualunque raggio di luce si muove nel sistema di coordinate "in quiete" con la definita velocità c , indipendentemente dal fatto che il raggio sia emesso da un corpo in quiete o in moto. Di conseguenza,

dove l' "intervallo di tempo" deve essere inteso nel senso della definizione del paragrafo 1.

Consideriamo un’asta rigida in quiete, la cui misura sia l quando sia misurata da un regolo campione pure in quiete. Immaginiamo ora che l'asse dell’asta giaccia lungo l'asse x del sistema di coordinate in quiete e che ad esso sia impartito un movimento traslatorio uniforme, parallelamente all'asse x , con velocità v , nel verso delle x crescenti. Ora ci chiediamo quale sia la lunghezza del regolo in moto , e immaginiamo che sia individuata per mezzo delle due seguenti operazioni:
(a) L'osservatore si muove insieme al regolo campione dato e l’asta da misurare, e misura la lunghezza dell’asta sovrapponendo direttamente il regolo campione, proprio come se asta da misurare, osservatore e regolo campione fossero in quiete.
(b) Per mezzo di orologi in quiete, dislocati nel sistema in quiete e sincronizzati secondo quanto detto nel paragrafo 1, l'osservatore stabilisce in quali punti del sistema stesso sono situate le due estremità dell’asta da misurare, ad un determinato tempo t . La distanza tra questi due punti, misurata con il regolo campione già utilizzato, che in questo caso è in quiete, è pure una lunghezza che può essere definita "la lunghezza dell’asta".

Conformemente al principio di relatività, la lunghezza ottenuta con l'operazione (a) - che chiameremo "la lunghezza dell’asta nel sistema in moto" - deve essere uguale alla lunghezza l dell’asta in quiete.

La lunghezza ottenuta con l'operazione (b) sarà chiamata "la lunghezza dell’asta (in moto) nel sistema in quiete" e sarà determinata sulla base dei nostri due principi. Noi troveremo che essa è diversa da l .

La cinematica usuale ipotizza tacitamente che le lunghezze ottenute con queste due operazioni siano esattamente uguali o, in altre parole, che un corpo rigido in moto, all'istante t , possa essere perfettamente rappresentato, dal punto di vista geometrico, dallo stesso corpo in quiete in una data posizione.

Immaginiamo inoltre che alle due estremità A e B dell’asta siano posti degli orologi sincronizzati con gli orologi del sistema in quiete - cioè che le loro indicazioni corrispondano, in ogni istante, con il "tempo del sistema in quiete" nei luoghi in cui essi si trovano. Di conseguenza, questi orologi sono "sincronizzati nel sistema in quiete".

Immaginiamo inoltre che insieme a ciascun orologio si trovi un osservatore in moto, e che questi osservatori applichino ad entrambi gli orologi il criterio stabilito nel paragrafo 1 per la sincronizzazione dei due orologi. Un raggio di luce parta da A al tempo 2 t A , sia riflesso in B al tempo t B , e raggiunga di nuovo A al tempo t' A. Tenendo in considerazione il principio della costanza della velocità della luce, troviamo che

dove r AB indica la lunghezza dell’asta in moto - misurata nel sistema in quiete. Osservatori in moto insieme all’asta troverebbero così che i due orologi non sono sincronizzati, mentre osservatori nel sistema in quiete dichiarerebbero che gli orologi sono sincronizzati.

Così noi vediamo che non possiamo attribuire un significato assoluto al concetto di simultaneità, ma che due eventi che, analizzati in un sistema di coordinate sono simultanei, non possono essere considerati simultanei qualora analizzati in un sistema in moto rispetto a quello.

§ 3. Teoria delle trasformazioni delle coordinate e del tempo da un sistema in quiete ad un altro sistema in moto traslatorio uniforme rispetto al primo.

Consideriamo, nello spazio "in quiete", due sistemi di coordinate, cioè due sistemi ciascuno dei quali costituito di tre linee materiali rigide, mutuamente perpendicolari, uscenti da un punto. Gli assi X dei due sistemi coincidano e i loro assi Y e Z siano, rispettivamente, paralleli. Ciascun sistema sia attrezzato con un regolo campione rigido e un certo numero di orologi, e siano perfettamente identici i due regoli campione e tutti gli orologi dei due sistemi.

Sia ora impressa all'origine di uno dei due sistemi ( k ) una velocità (costante) v , nella direzione delle x crescenti dell'altro sistema in quiete ( K ) e questa velocità sia pure comunicata agli assi coordinati, al relativo regolo campione e agli orologi. Ad ogni istante t del sistema in quiete K corrisponderà una ben precisa posizione degli assi del sistema in moto, e per ragioni di simmetria siamo autorizzati ad assumere che il moto di k possa essere tale che gli assi del sistema in moto siano al tempo t (questo " t " indica sempre il tempo del sistema in quiete) paralleli agli assi del sistema in quiete.

Immaginiamo ora che lo spazio venga misurato dal sistema in quiete K per mezzo del regolo campione in quiete, e pure dal sistema in moto k per mezzo del regolo campione in moto con esso; così determiniamo le coordinate x , y , z , e ξ, η, ξ, rispettivamente. Inoltre, il tempo t del sistema in quiete sia determinato, per tutti i punti di esso in cui vi siano orologi, per mezzo di segnali di luce, nel modo indicato nel paragrafo 1. In modo simile, il tempo t del sistema in moto sia determinato, per tutti i punti di esso in cui vi siano orologi in quiete rispetto a questo sistema, applicando il metodo, dato nel paragrafo 1, consistente nello scambiare segnali di luce tra i punti in cui sono situati i suddetti orologi.

Ad ogni insieme di valori ξ , η , ζ , τ , che definiscono in modo completo luogo e tempo di un evento, nel sistema in quiete, corrisponde un insieme di valori x, h, z, t, che definiscono quell'evento rispetto al sistema k . Ora c’è da risolvere il problema di trovare il sistema di equazioni che colleghino queste grandezze.

In primo luogo, è chiaro che le equazioni devono essere lineari , in consi­derazione delle proprietà di omogeneità che noi attribuiamo allo spazio e al tempo.

Se poniamo x' = x - v t , è chiaro che a un punto in quiete nel sistema k va attribuito un insieme di valori x' , y , z , indipendenti dal tempo. Definiamo dapprima t come funzione di x' , y , z e t . A tal fine dobbiamo esprimere con equazioni il fatto che t non è altro che l'insieme delle informazioni degli orologi in quiete nel sistema k , che sono stati sincronizzati secondo la regola data nel paragrafo 1.

Dall'origine del sistema k sia emesso un raggio di luce lungo l'asse X , verso x', al tempo τ₀, poi, daal tempo τ₁ sia riflesso verso l'origine delle coordinate, giungendovi al tempo τ₂; in tal modo deve essere

oppure, introducendo gli argomenti della funzione t e utilizzando il principio di costanza della velocità della luce nel sistema in quiete,

Di qui, scegliendo x' infinitamente piccolo,

oppure

E' da notare che, al posto dell'origine delle coordinate, avremmo potuto scegliere qualunque altro punto come punto di partenza del raggio; l'equazione così ottenuta è quindi valida per tutti i valori di x' , y , z .

Una analoga considerazioneapplicata agli assi Y e Z - considerando che la luce, osservata dal sistema in quiete, si propaga lungo questi assi con velocità

ci porta al risultato

Poiché τ è una funzione lineare , segue da queste equazioni che

dove a è una funzione φ( v ), al momento incognita, e dove, per brevità, si assume che nell'origine di k , t=0 quando t =0.

Servendoci di questo risultato, determiniamo facilmente le quantità x, h, z, esprimendo sotto forma di equazioni (come richiesto dal principio di costanza della velocità della luce, in combinazione con il principio di relatività) il fatto che la luce si propaga con velocità c anche quando la misuriamo nel sistema di riferimento in moto. Per un raggio di luce emesso al tempo t = 0, nella direzione delle x crescenti,

Ma ora il raggio di luce si muove, rispetto all'origine di k misurato nel sistema in quiete, con velocità c - v , così che

Se noi introduciamo questo valore di t nell'equazione per ξ, otteniamo

In modo analogo, considerando raggi di luce in moto lungo gli altri due assi, troviamo che

mentre

quindi

Sostituendo a x' il suo valore, otteniamo

mentre

e φ è una funzione di v per il momento incognita. Se non si fa alcuna ipotesi sulla posizione iniziale del sistema in moto e sul punto zero per τ , dovremmo aggiungere una costante additiva al secondo membro delle precedenti equazioni.

Dobbiamo ora provare che qualunque raggio di luce, misurato nel sistema in moto, si propaga con velocità c , se, come abbiamo ipotizzato, così è nel sistema in quiete; finora infatti non abbiamo dimostrato la compatibilità tra il principio di costanza della velocità della luce e il principio di relatività.

Al tempo t = τ = 0, quando le origini dei due sistemi di coordinate coincidono, un'onda sferica sia emessa da una sorgente collocata nell'origine comune a entrambi i sistemi e si propaghi con velocità c nel sistema K . Se è (x, y, z ) il punto raggiunto dall'onda, allora
x² + y² + z² = c²τ².

Trasformando queste equazioni con l'aiuto delle nostre equazioni di trasformazione, dopo un semplice calcolo otteniamo
x 2 + h 2 + z 2 = c2 t 2.

L'onda considerata è dunque pure un'onda sferica con velocità di propagazione c , quando osservata dal sistema in moto. Di conseguenza, i nostri due fondamentali principi sono mutuamente compatibili.

Nelle equazioni di trasformazione sviluppate qui sopra compare una funzione incognita φ, di v , che noi ora determineremo.

A questo scopo, introduciamo un terzo sistema di coordinate K ', che, rispetto al sistema k , si trovi in uno stato di moto traslatorio uniforme parallelo all'asse Ξ, in modo che l'origine delle sue coordinate si muova con velocità - v lungo l'asse Ξ. Al tempo t = 0 le tre origini coincidano, e quando t = x = y = z = 0, sia zero il tempo t ' di K '. Chiamiamo x', y', z ' le coordinate misurate dal sistema K ', e con una duplice applicazione delle nostre equazioni di trasformazione, otteniamo

Poiché le relazioni tra x', y', z' , non contengono il tempo t , i sistemi K e K ' sono in quiete reciproca, ed è chiaro che la trasformazione da K a K ' deve essere la trasformazione identità. Allora

Indaghiamo ora il significato di φ (v). Concentriamo la nostra attenzione su quella parte dell'asse H del sistema k , che è situata tra ξ = 0, η = 0, ζ = 0, e ξ = 0, η = l, ζ = 0. Questa parte dell'asse H è un’asta che si muove perpendicolarmente al proprio asse, con velocità v rispetto al sistema K. Le sue estremità hanno, in K , le coordinate

La lunghezza dell’asta misurata in K è quindi l /φ( v ); e questo ci da il significato della funzione φ( v ). Per ragioni di simmetria è ora evidente che la lunghezza di un’asta data, in moto perpendicolarmente al suo asse, misurata nel sistema in quiete, può dipendere solo dalla velocità e non dalla direzione e dal verso del moto. Allora la lunghezza dell’asta in moto, misurata nel sistema in quiete, non cambia scambiando v con -v. Di conseguenza, l /φ( v ) = l /φ(-v), oppure
φ (v) = φ (-v).

Segue da questa relazione e da quella precedentemente dedotta che deve essere φ (v) =1, così che le equazioni di trasformazione trovate diventano

dove

§ 4. Significato fisico delle equazioni ottenute a proposito di corpi rigidi e orologi in moto

Consideriamo una sfera rigida 3 di raggio R , in quiete relativamente al sistema in moto k , il cui centro sia nell'origine delle coordinate di k . L'equazione della superficie di questa sfera, in moto con velocità v relativamente a K , è
ξ²+η²+ζ² = R²

L'equazione di questa superficie è esprimibile in x, y, z , al tempo t = 0, come

Quindi, un corpo rigido che in stato di quiete ha la forma di una sfera, in stato di moto - osservato dal sistema in quiete - ha la forma di un ellissoide di rotazione con gli assi

Così, mentre le dimensioni Y e Z di una sfera (e quindi di qualunque corpo rigido di forma arbitraria) non appaiono modificate dal moto, la dimensione X appare accorciata secondo il rapporto

cioè, maggiore è il valore di v , maggiore è l'accorciamento. Per v = c, tutti gli oggetti in moto - osservati dal sistema "in quiete" - si riducono a figure piane. Per velocità maggiori della velocità della luce, le nostre considerazioni perdono significato; in ciò che segue, comunque, vedremo che la velocità della luce, fisicamente, nella nostra teoria, gioca il ruolo di una velocità infinitamente grande.

E' chiaro che gli stessi risultati sono validi per corpi in quiete nel sistema in quiete, osservati da un sistema in moto uniforme.

Immaginiamo inoltre che uno degli orologi abilitati a segnare il tempo t quando si trovino in quiete nel sistema in quiete e il tempo τ quando si trovino in quiete relativamente al sistema in moto, sia collocato nell'origine delle coordinate di k , e predisposto a segnare il tempo τ . Quale sarà il ritmo di tale orologio, quando osservato dal sistema in quiete?

Tra le grandezze x, t e τ , che si riferiscono alla posizione dell'orologio, valgono chiaramente le equazioni
>
e
x = vt.

Quindi

da cui segue che il tempo segnato dall'orologio (osservato dal sistema in quiete) ritarda di

secondi ogni secondo, oppure - trascurando termini di ordine uguale o superiore al quarto - di ½ ( v²/c² ) secondi.

Da ciò si deduce una singolare conseguenza. Se nei punti A e B di K sono collocati orologi in quiete che, osservati nel sistema in quiete, sono sincronizzati; e se l'orologio A si muove verso B lungo la linea AB , con velocità v al suo arrivo in B i due orologi non sono più sincronizzati, ma l'orologio che si è spostato da A a B ritarda, rispetto a quello rimasto in B , di ½ t (v²/c²) secondi (a meno di termini di ordine pari o superiore al quarto), dove t è il tempo necessario per spostare l'orologio da A a B .

Si vede subito che questo risultato vale anche nel caso in cui l'orologio si muove da A a B seguendo una linea poligonale, e pure quando i punti A e B coincidono.

Ipotizzando che il risultato dimostrato valido per una linea poligonale lo sia anche per una linea curva continua, abbiamo il teorema: se in A ci sono due orologi sincronizzati, ed uno dei due si muove con velocità costante lungo un percorso chiuso fino a tornare in A , durando il viaggio t secondi, allora l'orologio che si è spostato marcia più lentamente di ½ t (v²/c²) secondi rispetto all'orologio rimasto in quiete. Così se ne conclude che un orologio (*) collocato all'equatore sarà più lento, di una quantità molto piccola, rispetto a un identico orologio, sottoposto a identiche condizioni, collocato in uno dei due poli.

§ 5. Il teorema di addizione delle velocità

Nel sistema k, in moto con velocità v , lungo l'asse X del sistema K , un punto si muova secondo le equazioni

dove w ξ e w η indicano delle costanti.

Si richiede il moto del punto rispetto al sistema K . Se introduciamo le grandezze x, y, z, t , nelle equazioni del moto del punto, con l'aiuto delle equazioni di trasformazione sviluppate nel paragrafo 3, otteniamo

In questo modo, la regola del parallelogramma per la composizione delle velocità, in accordo con la nostra teoria, è valida solo in prima approssimazione. Poniamo

e
[1*]
cosicché a può essere considerato come l'angolo tra le velocità v e w . Dopo un semplice calcolo otteniamo

E' importante sottolineare che u e w compaiono in modo simmetrico nell'espressione della risultante della velocità. Se pure w ha la direzione dell'asse X (asse Ξ), si ha

Da questa equazione segue che, dalla composizione di due velocità minori di c , ne risulta sempre una velocità minore di c . Infatti, se si pone v = c - k , w = c - λ , essendo k e l positivi e minori di c , allora

Segue, inoltre, che la velocità della luce c non può essere modificata dalla composizione con un'altra velocità minore di quella della luce. In questo caso, infatti, si ha

Avremmo potuto ottenere la formula per U, nel caso in cui v e w hanno la stessa direzione, componendo due trasformazioni, nel modo indicato nel paragrafo 3. Se aggiungiamo ai sistemi k e K del paragrafo 3 un altro sistema di coordinate k ', in moto parallelamente a k , la cui origine si muova lungo l’asse Ξ con velocità w , otteniamo delle equazioni tra x, y, z, t, e le corrispondenti variabili di k ', che differiscono dalle equazioni trovate nel paragrafo 3, solo in quanto in luogo di " v " abbiamo l'espressione

Da ciò si osserva che tali trasformazioni parallele formano un gruppo, come deve essere.

Fin qui abbiamo dedotto le leggi essenziali della cinematica, conformi ai nostri due principi; ora passiamo a descrivere la loro applicazione all'elettrodinamica.

II. PARTE ELETTRODINAMICA

§ 6. Trasformazioni delle equazioni di Maxwell-Hertz per lo spazio vuoto. Sulla natura delle forze elettromotrici che intervengono in un campo magnetico in moto.

Siano valide le equazioni di Maxwell-Hertz per lo spazio vuoto, così che si abbia, per il sistema K ,

dove (X, Y, Z) indica il vettore forza elettrica e (L, M, N) il vettore forza magnetica.

Se applichiamo a queste equazioni le trasformazioni sviluppate nel paragrafo 3, riferendo i processi elettromagnetici al sistema di coordinate colà introdotto, in moto con velocità v , otteniamo le equazioni

dove

Il principio di relatività richiede ora che, se le equazioni di Maxwell-Hertz per lo spazio vuoto valgono nel sistema K , siano pure valide nel sistema k . In altre parole, i vettori forza elettrica e forza magnetica, (X', Y', Z') e (L', M', N') del sistema in moto k , definiti per mezzo delle loro azioni ponderomotrici sulla materia elettrica e magnetica rispettivamente, soddisfano le seguenti equazioni:

Evidentemente, i due sistemi di equazioni trovati per il sistema k devono esprimere esattamente la stessa cosa, poiché entrambi i sistemi di equazioni sono equivalenti alle equazioni di Maxwell-Hertz per il sistema K . Poiché inoltre le equazioni dei due sistemi concordano, eccetto che per i simboli dei vettori, segue che devono concordare le funzioni che compaiono in posizioni corrispondenti nei due sistemi, a meno di un fattore ψ (v) comune a tutte le funzioni di uno dei sistemi di equazioni, indipendente da ξ,η,ζ,τ , ma eventualmente dipendente da v . Si hanno così le relazioni:

Se ora costruiamo il sistema di equazioni inverso, dapprima risolvendo le equazioni appena ottenute, poi applicando le equazioni alla trasformazione inversa (da k a K ), caratterizzata dalla velocità - v considerando che i due sistemi di equazioni devono essere identici, segue che ψ ( v ) ψ (- v )= 1. Inoltre, per ragioni di simmetria 4 , ψ ( v ) = ψ (- v ) e quindi
ψ ( v ) = 1,
così che le nostre equazioni assumono la forma

Per quanto riguarda l'interpretazione di queste equazioni, facciamo la seguente osservazione: una carica elettrica puntiforme abbia intensità "uno" quando misurata nel sistema in quiete K , cioè eserciti la forza di una dine su una carica identica posta alla distanza di un centimetro, quando si trovi in quiete nel sistema in quiete. Per il principio di relatività, questa carica elettrica ha ancora intensità "uno" quando misurata dal sistema in moto. Se questa quantità di elettricità è in quiete nel sistema in quiete, allora, per definizione, il vettore (X, Y, Z) è uguale alla forza esercitata su di essa. Se la quantità di elettricità è in quiete rispetto al sistema in moto (almeno nell'istante conside­rato), allora la forza agente su di essa, misurata dal sistema in moto, è uguale al vettore (X', Y', Z'). Di conseguenza, le prime tre equazioni precedenti possono essere espresse verbalmente nei seguenti due modi:
1. Se una carica elettrica puntiforme unitaria è in moto in un campo elettromagnetico, su di essa agisce, oltre alla forza elettrica, una "forza elettromotrice" che, trascurando termini in v /c di grado pari o superiore al secondo, è uguale al prodotto vettoriale tra la velocità della carica e la forza magnetica, diviso per la velocità della luce. (Vecchio modo di esprimersi)
2. Se una carica elettrica puntiforme unitaria è in moto in un campo elettromagnetico, la forza agente su di essa è uguale alla forza elettrica presente nel punto in cui si trova la carica unitaria, calcolata trasformando il campo in un sistema in quiete rispetto alla carica elettrica unitaria. (Nuovo modo di esprimersi).

Tutto ciò vale analogamente per le "forze magnetomotrici". Vediamo che nella teoria qui sviluppata la forza elettromotrice gioca solamente il ruolo di un concetto ausiliario, che deve la sua introduzione al fatto che forze elettriche e magnetiche non esistono indipendentemente dallo stato di moto del sistema di coordinate.

Per di più, è chiaro che le asimmetrie citate nell'introduzione, a proposito delle correnti che si originano dal moto relativo tra un magnete e un conduttore, ora scompaiono. Nello stesso modo, questioni relative alla "sede" delle forze elettromotrici elettrodinamiche (macchine unipolari) diventano prive di significato.

§ 7. Teoria del principio di Doppler e dell'aberrazione

Nel sistema K , molto lontano dall'origine delle coordinate, vi sia una sorgente di onde elettrodinamiche, le quali, nella porzione di spazio contenente l'origine delle coordinate, siano rappresentabili, con sufficiente approssimazione, dalle equazioni
X = X₀ sin Φ, L = L₀ sin Φ,

Y = Y₀ sin Φ, M = M₀ sin Φ,

Z = Z₀ sin Φ, N = N₀ sin Φ,
e

Qui (X₀, Y₀, Z₀) e (L₀, M₀, N₀) sono i vettori che definiscono l'ampiezza del treno d'onda e l, m, n , sono i coseni direttori delle normali alle onde. Chiediamoci quali siano le caratteristiche di tali onde, quando esaminate da un osservatore in quiete nel sistema in moto k .

Applicando le equazioni di trasformazione per le forze elettriche e magnetiche, trovate nel paragrafo 6, e quelle per le coordinate e il tempo, trovate nel paragrafo 3, otteniamo immediatamente
X' = X₀ sin Φ', L' = L₀ sin Φ'
Y' = β (Y₀ - vN₀/c) sin Φ', M' = b (M₀ + vZ₀/c) sin Φ'
Z' = β (Z₀ + vM₀/c) sin Φ', N' = β (N₀ - vY₀/c) sin Φ'

dove

Dall'equazione per ω segue che, se un osservatore è in moto con velocità v rispetto a una sorgente di luce di frequenza ν , infinitamente distante, in modo tale che la linea congiungente "sorgente di luce - osservatore" formi un angolo φ con la velocità che l'osservatore ha rispetto a un sistema di coordinate in quiete relativamente alla sorgente, la frequenza ν ' della luce percepita dall'osservatore è data dall'equazione

Questo è il principio di Doppler per velocità arbitrarie. Quando φ = 0, l'equazione assume la forma semplice

Vediamo che, in contrasto con la concezione corrente, quando v = - c , ν ' = . [2*]

Se chiamiamo φ' l'angolo tra la normale alle onde (direzione del raggio) nel sistema in moto e la linea congiungente "sorgente di luce - osservatore", l'equazione per φ ' [3*] diventa:

Questa equazione esprime la legge di aberrazione nella sua forma più generale. Se φ = π/2, l'equazione diventa semplicemente
cos φ ' = -v/c.

Dobbiamo ancora trovare l'ampiezza delle onde, così come essa appare nel sistema in moto. Se noi chiamiamo A e A ' rispettivamente, a seconda che sia misurata dal sistema in quiete o dal sistema in moto, l'ampiezza della forza elettrica o magnetica, otteniamo

e per φ = 0 questa equazione diventa

Dalle equazioni qui sviluppate segue che, ad un osservatore che si avvicini ad una sorgente di luce con velocità c , questa sorgente di luce deve apparire di intensità infinita.

§ 8. Trasformazione dell'energia dei raggi luminosi. Teoria della pressione di radiazione esercitata su riflettori perfetti

Poiché /8π è pari all'energia della luce per unità di volume, in accordo con il principio di relatività, dobbiamo considerare A' 2/8π come l'energia della luce per unità di volume, nel sistema in moto. Così A /A² dovrebbe essere il rapporto tra le energie "misurate in moto" e "misurate in quiete" di un certo sistema luminoso, qualora il volume di tale sistema luminoso risultasse lo stesso, sia misurato in K che in k . Non è questo, comunque, il caso. Se l, m, n, sono i coseni direttori delle normali alle onde di luce nel sistema in quiete, non vi è passaggio di energia attraverso gli elementi di superficie di una superficie sferica in moto con la velocità della luce:
(x - lct)² + (y - mct)² + (z - nct)² = R²

Possiamo quindi dire che questa superficie racchiude in permanenza lo stesso complesso luminoso. Ci chiediamo quale sia l'entità dell'energia racchiusa da questa superficie, dal punto di vista del sistema k - cioè l'energia del sistema luminoso relativamente al sistema k .

Questa superficie sferica - osservata nel sistema in moto - risulta una superficie ellissoidale, la cui equazione, al tempo τ = 0, è

Se S è il volume della sfera e S' il volume dell'ellissoide, si ha allora, con un semplice calcolo

Allora, chiamando E l'energia luminosa racchiusa dalla superficie, misurata nel sistema in quiete, ed E' quella misurata nel sistema in moto, otteniamo

e, quando φ =0, questa formula si semplifica in

E' un fatto notevole che l'energia e la frequenza di un sistema luminoso varino con lo stato di moto dell'osservatore, secondo la stessa legge.

Sia ora il piano coordinato ξ =0 una superficie perfettamente riflettente, sulla quale si riflettano le onde piane considerate nel precedente paragrafo. Vogliamo determinare la pressione dalla luce sulla superficie riflettente, e direzione, frequenza, intensità, della luce, dopo la riflessione.

La luce incidente sia definita dalle grandezze A , cos φ, v (riferite al sistema K ). Osservate da k , le grandezze corrispondenti valgono


Riferendo il processo al sistema k , per la luce riflessa otteniamo
A" = A ',
cos φ " = -cos φ ',
v " = v ' .

Alla fine, con una trasformazione inversa, diretta al sistema K , per la luce riflessa otteniamo


. [4*]

L'energia incidente per unità di tempo su una superficie unitaria dello specchio (misurata nel sistema in quiete) è evidentemente ( c cos φ -v)/8π. L'energia che si allontana dall'unità di superficie dello specchio nell'unità di tempo è A "'²(- c cos φ "' + v)/8π. In accordo con il principio dell'energia, la differenza tra queste due espressioni è il lavoro fatto nell'unità di tempo dalla pressione della luce. Esprimendo questo lavoro come prodotto Pv , dove P è la pressione della luce, otteniamo

In accordo con l'esperienza e con altre teorie, in prima approssimazione, otteniamo

Tutti i problemi relativi all'ottica dei corpi in moto possono essere risolti con il metodo qui utilizzato. Il punto essenziale consiste nel fatto che la forza elettrica e magnetica della luce, influenzata da un corpo in moto, sia trasformata in un sistema di coordinate in quiete relativamente al corpo. In tal modo tutti i problemi dell'ottica dei corpi in moto sono ricondotti a una serie di problemi dell'ottica dei corpi in quiete.

§ 9. Trasformazione delle equazioni di Maxwell-Hertz, considerando le correnti di convezione

Partiamo dalle equazioni

dove

indicavolte la densità di carica elettrica e ( u x , u y , u z ) indica il vettore velocità della carica. Se noi immaginiamo che le masse elettriche siano legate in modo permanente a piccoli corpi rigidi (ioni, elettroni), queste equazioni costituiscono la base per l'elettrodinamica di Lorentz e l'ottica dei corpi in moto.

Posto che queste equazioni siano valide nel sistema K , usando le equazioni di trasformazione date nei paragrafi 3 e 6, trasformiamole nel sistema k . Otteniamo così le equazioni

dove

e

Poiché - come segue dal teorema di addizione delle velocità (§ 5) - il vettore ( u ξ , u η , u ζ ) non è altro che la velocità delle masse elettriche, misurate nel sistema k , abbiamo dimostrato, di conseguenza, sulla base dei nostri principi cinematici, che il fondamento elettrodinamico della teoria di Lorentz sull'elettrodinamica dei corpi in moto è in accordo con il principio di relatività.

Possiamo notare, incidentalmente, che dalle equazioni svolte si può facilmente dedurre il seguente importante teorema: se un corpo elettricamente carico è in moto qualunque nello spazio, senza che la sua carica subisca modificazioni nel sistema di coordinate solidale con il corpo, la sua carica resta costante - anche quando lo si osservi dal riferimento "in quiete" K .

§ 10. Dinamica dell'elettrone (lentamente accelerato)

Una particella puntiforme, avente carica elettrica E, (nel seguito tale particella elettricamente carica sarà chiamata "elettrone") sia in moto in un campo elettromagnetico. Facciamo la seguente ipotesi sulla sua legge del moto: se, in un certo istante, l'elettrone è in quiete, allora, nell'istante successivo, il moto dell'elettrone è descritto dalle equazioni

dove x, y, z , indicano le coordinate dell'elettrone e µ indica la massa dell'elettrone, finché il suo moto resta lento.

In secondo luogo, la velocità dell'elettrone, in un dato istante, sia v . Cerchiamo la legge del moto dell'elettrone nell'istante immediatamente successivo.

Senza perdere di generalità, ipotizzeremo che l'elettrone, nell'istante della nostra osservazione, si trovi nell'origine delle coordinate e sia in moto con velocità v lungo l'asse X del sistema K . E' chiaro allora che, nell'istante considerato ( t = 0), l'elettrone è in quiete rispetto a un sistema di coordinate k che si trovi in moto con velocità v parallelamente all'asse X .

Dalle precedenti ipotesi, insieme al principio di relatività, è chiaro che, in un istante immediatamente successivo (per piccoli valori di t ), l'elettrone, considerato dal sistema k , si muove in accordo con le equazioni

nelle quali i simboli ξ, η, ζ, τ, X', Y', Z' , si riferiscono al sistema k . Se decidiamo inoltre che quando t = x = y = z = 0 allora τ = ξ = η = ζ = 0 , valgono le equazioni di trasformazione dei paragrafi 3 e 6, così che abbiamo

Con l'aiuto di queste equazioni, trasformiamo le equazioni del moto sopra esposte dal sistema k al sistema K , e otteniamo
(A)

Seguendo il punto di vista corrente, andiamo a cercare la massa "longitudinale" e "trasversale" dell'elettrone in moto. Scriviamo le equazioni (A) nella forma

e notiamo dapprima che ε X', ε Y', ε Z' , sono le componenti della forza ponderomotrice agente sull'elettrone, così come osservata da un sistema in questo istante in moto con la stessa velocità dell'elettrone. (Questa forza potrebbe essere misurata, per esempio, con una bilancia a molla in quiete nel sistema appena citato). Se ora chiamiamo questa forza semplicemente "la forza agente sull'elettrone", e conserviamo l'equazione - massa ´ accelerazione = forza - e se decidiamo inoltre che le accelerazioni sono da misurarsi nel sistema in quiete K , otteniamo dalle precedenti equazioni

Naturalmente, con una differente definizione di forza e accelerazione, otterremmo altri valori per le masse. Questo ci mostra che dobbiamo procedere con grande cautela quando confrontiamo diverse teorie sul moto dell'elettrone.

Osserviamo che questi risultati relativi alla massa sono validi pure per punti materiali ponderabili, poiché un punto materiale ponderabile può essere reso come un elettrone (nel senso che abbiamo dato a questa parola) con l'aggiunta di una carica elettrica arbitrariamente piccola .

Ora determiniamo l'energia cinetica dell'elettrone. Se un elettrone, inizialmente in quiete nell'origine delle coordinate del sistema K, si muove lungo l'asse X , sotto l'influenza costante di una forza elettrostatica X , è chiaro che l'energia ricevuta dal campo elettrostatico è

Siccome l'elettrone deve essere lentamente accelerato, e di conseguenza non emette energia sotto forma di radiazione, l'energia sottratta al campo elettrostatico deve essere pari all'energia di movimento W dell'elettrone. Tenendo a mente che durante l'intero processo del moto che stiamo considerando è applicabile la prima delle equazioni (A), otteniamo

Così, quando v = c, W diventa infinita. Velocità maggiori di quella della luce - coerentemente con i nostri precedenti risultati - non possono esistere.

Questa espressione per l'energia cinetica, per gli argomenti sopra esposti, deve applicarsi altrettanto bene a masse ponderabili.

Elencheremo ora le proprietà del moto dell'elettrone che seguono dal sistema di equazioni (A), e sono accessibili all'esperimento.

1. Dalla seconda equazione del sistema (A) segue che, quando Y = N v /c , una forza elettrica Y e una forza magnetica N esercitano una uguale forza di deflessione su un elettrone in moto con velocità v . Vediamo così che è possibile, in base alla nostra teoria, determinare la velocità di un elettrone dal rapporto tra la deflessione magnetica A m e la deflessione elettrica A e , per qualunque velocità, applicando la legge

Questa relazione può essere controllata sperimentalmente, poiché la velocità di un elettrone può essere misurata direttamente, per esempio, per mezzo di campi elettrici e magnetici rapidamente oscillanti.

2. Dalla derivazione dell'energia cinetica dell'elettrone, segue che tra la differenza di potenziale e la velocità v acquisita dall'elettrone deve sussistere la relazione

3. Calcoliamo il raggio di curvatura R della traiettoria dell'elettrone qualora la presenza di una forza magnetica N (come unica forza deflettiva) agisca perpendicolarmente alla velocità dell'elettrone. Dalla seconda delle equazioni (A) otteniamo

oppure

Queste tre relazioni esprimono completamente le leggi secondo le quali, in base alla teoria qui esposta, deve muoversi l'elettrone.

In conclusione, io vorrei dire che, lavorando intorno ai problemi qui trattati, ho ricevuto l'aiuto leale del mio amico e collega M. Besso, e che devo a lui alcuni validi suggerimenti.